15 agosto: Giornata di preghiera per i cristiani perseguitati
«L'Occidente non può continuare a volgere lo sguardo altrove, illudendosi di poter ignorare una tragedia umanitaria che distrugge i valori che l'hanno forgiato e nella quali i cristiani pagano il pregiudizio che li confonde in modo indiscriminato con un preciso modello di sviluppo» queste parole della presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, nel messaggio di indizione della Giornata di preghiera per i cristiani perseguitati nella solennità dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, ci ricordano che la libertà religiosa è una aspetto della Libertà. Negando la libertà di vivere pubblicamente la propria fede, non si è più liberi.
A livello mondiale vi è una crescita significativa delle
persecuzioni ai cristiani, il gruppo religioso più penalizzato. La crescente
consapevolezza ecclesiale fa forza sulla difesa dei diritti umani e di libertà
per tutti. I risultati di alcuni rapporti.
Dopo il ’900 ci sarà un altro secolo dei
martiri? Quel milione e mezzo di vittime per la fede avrà un seguito nei
prossimi decenni? La risposta della coscienza ecclesiale sembra confermare una
condizione di crescente difficoltà. Parlando all’Angelus il 26
dicembre scorso, papa Francesco ha detto: «Preghiamo in modo particolare per i
cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a
Cristo e al Vangelo. Siamo vicini a questi fratelli e sorelle che, come santo
Stefano, vengono accusati ingiustamente e fatti oggetto di violenze di vario
tipo. Sono sicuro che, purtroppo, sono più numerosi oggi che nei primi tempi
della Chiesa. Ce ne sono tanti! Questo accade specialmente là dove la libertà
religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata. Accade però
anche in paesi e ambienti che sulla carta tutelano la libertà e i diritti
umani, ma dove di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano
limitazioni e discriminazioni». E, parlando al Corpo diplomatico (13 gennaio
2014), denuncia la «vera e propria persecuzione» di cui sono oggetto i
cristiani di alcuni paesi africani e asiatici. Nell’intervista del 15 dicembre
a La Stampa lo aveva anticipato: «In alcuni paesi ammazzano i
cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli
non domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è
mischiato. Per coloro che uccidono siamo cristiani».
Sono tanti, sono troppi! In coerenza con
quanto il suo predecessore, Benedetto XVI, aveva sottolineato: «I cristiani
sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di
persecuzioni a motivo della propria fede. Taluni subiscono quotidianamente
offese e vivono spesso nella paura a causa della loro ricerca della verità, della
loro fede in Gesù Cristo e del loro sincero appello perché sia riconosciuta la
libertà religiosa» (messaggio per la pace 2011). «Purtroppo, anche in paesi di
antica tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di intolleranza
religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di coloro che semplicemente
indossano i segni identitari della propria religione» (messaggio per la pace
2013).
Episodi drammatici come i 34 morti e i 52 feriti registrati a
Baghdad (Iraq) il giorno di Natale 2013 confermano la denuncia ormai comune a
molte organizzazioni internazionali e istituti di ricerca sulla libertà
religiosa: dagli organismi dell’ONU, dell’Europa e dell’Osce (Ufficio per le
istituzioni democratiche e i diritti umani) fino ad Human Rights Watch, Amnesty
International, Freedom House, International Crisis
Group, il dipartimento sulle fedi legato al governo statunitense e i centri
di ricerca Open Doors e Pew Research Centre.
In un Rapporto ecumenico sulla libertà religiosa dei
cristiani nel mondo delle Chiese tedesche si diceva: «Studi dei più noti centri di ricerca mostrano, dal 2007, una
chiara tendenza alla crescente costatazione delle violazioni del diritto alla
libertà di religione e di pensiero». Minacce e discriminazioni avvengono sia
sul versante degli stati e delle istituzioni sia su quello dei comportamenti
sociali diffusi. Inoltre, il tradizionale riferimento al contenuto del termine
persecuzione si appesantisce di decisioni amministrative di stati di lunga
democrazia che suonano come cristianofobiche.
Il rapporto 2014 dell’agenzia Fides, reso noto il
3 gennaio, ricorda uno per uno i 22 operatori pastorali uccisi nel 2013: 19
preti, 1 religiosa, 2 laici. 15 di questi sono stati assassinati in America
(Colombia, Messico, Brasile, Venezuela, Panama, Haiti), 3 in Africa, 3
in Asia, 1 in Europa. I due italiani sono la missionaria laica
Afra Martinelli, uccisa in Nigeria, e don Michele Di Stefano, a Trani. La
maggior parte delle uccisioni è avvenuta in seguito a tentativi di rapina e di
furto, segno del clima di degrado morale, povertà economica e culturale che
genera violenza e disprezzo per la vita. Segno anche della collocazione esposta
degli interessati. Ma sono numerosi i religiosi e i preti ancora sotto
sequestro: dai tre sacerdoti congolesi agostiniani a un prete colombiano, dal
gesuita italiano p. Paolo Dall’Oglio ai due vescovi metropoliti ortodossi di
Aleppo, fino alle suore ortodosse di Santa Tecla (Siria). Cumulando le cifre
degli anni precedenti, si hanno questi risultati: 115 missionari uccisi fra il
1980 e il 1989, 604 i morti fra il 1990 e il 2000, 294 fra il 2001 e il 2012.
Fides e Open Doors. Nei primi giorni di
gennaio in 25 città tedesche e in alcune città Svizzere sono scesi in piazza
gruppi di volontari per ricordare con un messaggio e con un momento di
preghiera i circa 100 milioni di cristiani a rischio persecuzione nel mondo
(ma, secondo altri, sono 200).
L’8 gennaio è stato reso pubblico l’Indice mondiale delle
persecuzioni 2014 di Open Doors (un gruppo diffuso di
ricerca di ceppo evangelico, fondato 60 anni fa, ormai presente in molti
stati). L’Indice si limita a registrare le violazioni dei diritti
sulla libertà religiosa per i cristiani di 77 paesi e stila, anno dopo anno,
una lista di 50 in cui si registrano i casi più gravi. Nell’anno
appena trascorso i paesi più esposti sono: Corea del Nord, Somalia, Siria,
Iraq, Afghanistan, Arabia Saudita, Maldive, Pakistan, Iran, Yemen, Sudan,
Etiopia e Libia.
Nell’Indice 2013 si ricordavano le cinque linee più
preoccupanti: la piegatura antidemocratica della primavera araba, i processi di
islamizzazione nell’Africa sub-sahariana, i fondamentalismi religiosi, i regimi
politici totalitari, la corruzione. Nel rapporto di quest’anno si sottolinea il
tripode su cui si sviluppano i processi di persecuzione: il tribalismo
esclusivo, il laicismo intollerante, i poteri abusivi. Il tribalismo tende a
formare una società omogenea che espunge «l’altro» e può assumere la forma
dell’islamismo radicale (il più diffuso), dell’attivismo religioso (induismo
settario, buddismo etnico, giudaismo ortodosso), delle rivalità etniche, del
confessionalismo egemonico. Il laicismo intollerante allude alle dittature
comuniste e al laicismo ideologico che pretende di cancellare ogni referenza
religiosa nel dominio pubblico. I poteri abusivi sono espressi dal
totalitarismo politico e dalla corruzione pervasiva.
Le tendenze più significative registrate nell’Indice 2014 sono
quattro:
a) Un aumento generale delle persecuzione dei cristiani. Le
misurazioni di Open Doors sono costruite incrociando cinque
indici: violenze e sopraffazioni nella vita privata, nell’ambito familiare, nel
contesto sociale, nella dimensione politica, nella vita pubblica delle Chiese.
Ogni indice ha una valutazione espressa in numeri. Nel 2013 il rapporto nel suo
insieme totalizzava 2.683 punti, quest’anno 3.019.
b) L’Africa diventa un campo di battaglia per la Chiesa. Sono
18 i paesi africani nell’Indice 2014 e alcuni ai più alti livelli:
Somalia (2), Sudan (11), Eritrea (12), Libia (13), Nigeria (14). Sorprendente
l’entrata del Centrafrica (16). Paese tranquillo fino a pochi mesi fa, ha visto
esplodere un conflitto di natura religiosa riconosciuto tardivamente. È il
continente con il più alto numero dei martiri.
c) L’«inverno cristiano» diventa glaciale in alcuni paesi
musulmani. In Siria si registrano 1.213 morti. In Egitto 167 atti di violenza e
492 tentativi di chiusura di chiese e di edifici ecclesiali.
d) Un netto aumento della persecuzione negli stati a rischio
di esplosione come la Somalia (2), la Siria (3), l’Iraq (4), l’Afghanistan (5),
il Pakistan (8), lo Yemen (10).
Islamizzazione e corruzione. Ricordo tre casi emblematici. La Corea del Nord si conferma
per la dodicesima volta ai vertici fra gli stati più illiberali e meno
rispettosi delle religioni e del cristianesimo in particolare. Si calcolano
50-70.000 i cristiani rinchiusi in campi di lavoro.
Somalia. Per la prima
volta nella storia dell’Indice un paese dell’Africa sub-sahariana
occupa il secondo posto. I cristiani subiscono una forte pressione che minaccia
gravemente la loro stessa libertà di pensiero. Le comunità cristiane operano
nella più grande discrezione. Il paese è diretto principalmente dalle tribù e
clan musulmani che non accettano la presenza cristiana, uccidendo
sistematicamente i cristiani che incontrano. Grandi parti del paese sono di
fatto ingovernabili e i ribelli impongono un’interpretazione della sharia,
della legge islamica, estremamente severa. Se nella capitale sono ancora
egemoni i musulmani più moderati, essi operano tuttavia una sorveglianza severa
sui musulmani a rischio conversione.
La Colombia entra
nel 25° posto fra i paesi più pericolosi. Una collocazione dovuta ai numerosi
sequestri e assassinii in particolare nelle zone in mano ai ribelli. Le FARC
(Forze armate rivoluzionarie), che nel passato si consideravano un movimento
rivoluzionario comunista, sono oggi un’organizzazione criminale dedita ai
traffici di stupefacenti. I credenti che vi si oppongono sono violentemente
colpiti. Il conflitto sociale ha provocato 5,5 milioni di migranti interni.
Molto grave è l’endemico problema della corruzione.
Vi sono alcuni slittamenti dei concetti e delle pratiche che
è bene notare. Il primo riguarda la persecuzione in se stessa. Complessivamente
si ricorre meno a gesti clamorosi di limitazione delle libertà, incarcerazioni
e morti. La forma più violenta lascia spazio a maniere più indirette ma più
efficaci contro le minoranze cristiane: discriminazioni legislative, scarsa
difesa da parte degli organi di polizia, legislazioni pericolose come quelle
sulla blasfemia in contesti islamici. L’oppressione, la discriminazione, gli
impedimenti ai diritti elementari (all’acqua, allo studio e al lavoro) possono
trasformarsi in persecuzioni violente e endemiche. Cambiano anche i
protagonismi diretti: possono essere le autorità locali o nazionali, i
dirigenti dei gruppi clanici, il clero di religione non cristiana, il clero di
religione cristiana, movimenti fanatici, singoli e folle, partiti politici,
gruppi rivoluzionari o paramilitari, cartelli o malavita organizzata, società
segrete.
Democrazia e fede. Vi è anche un’estensione del
concetto di martirio che dalla visuale dell’odium fidei (odio alla
fede) si allarga tendenzialmente alle uccisioni dei credenti in ragione della
giustizia, della solidarietà, della legalità ecc. Sempre più assume una
connotazione ecumenica: i cristiani sono considerati tali a prescindere dalle
appartenenze confessionali. Nella denuncia pubblica delle persecuzioni, il
richiamo non è tanto al patrimonio teologico quanto ai diritti umani
universalmente sottoscritti grazie alle Nazioni Unite: dalla Dichiarazione
fondamentale del 1948 a quella relativa ai profughi del
1951, alla Convenzione internazionale sui diritti politici e civili del
1966 o a quella del 1981 contro l’intolleranza e le discriminazioni. Patrimonio
normativo ulteriormente arricchito dalle sentenze della Corte di giustizia
europea e da altri organismi come l’Osce. Se sono 130 gli stati che minacciano
i cristiani, sono 75 quelli pericolosi per gli ebrei, 16 per i buddisti, 27 per
gli hindu.
La maggiore esposizione dei cristiani è dovuta anche alla
loro «de-territorializzazione». Se, nel 1910, due terzi dei cristiani vivevano
in Europa e, con le Americhe, arrivavano al 93%, oggi, negli stessi territori
sono il 63%. Usando il criterio di Nord (i paesi europei e nordamericani) e di
Sud, le proporzioni sono 39% a 61%. Potrà sorprendere che i paesi con maggior
numero di cristiani siano oggi Stati Uniti, Brasile e Messico, mentre, a
scalare, gli altri sette paesi con maggior numero di presenze cristiane sono
Russia, Filippine, Nigeria, Cina (con una valutazione molto alta delle Chiese
protestanti), Congo, Germania e Etiopia. Non vi è più un territorio che possa
identificarsi con il cristianesimo ed essere considerato il «centro».
Vi è, infine, il non sempre chiaro legame fra persecuzioni e
comportamenti anticristiani e antireligiosi registrabili in paesi di consolidata
democrazia (cristianofobia): forme legislative penalizzanti le appartenenze
religiose o i valori morali delle loro tradizioni, discriminazioni
amministrative, la laicità intesa come ideologia opposta alle fedi e non come
ambito di accoglienza di tutti. Se, fra cristianesimo e democrazia, al di là
delle vicissitudini storiche, vi è una profonda sintonia, va detto che, senza
l’apporto delle fedi, la democrazia non alimenta i valori morali su cui si
fonda e, senza democrazia, le fedi corrono il rischio del settarismo e della
violenza fondamentalista.
Lorenzo Prezzi
Pubblicato su Settimana 4/2014, p. 1.
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