Papa Francesco, rispondendo alle domande
dei giornalisti durante il viaggio ritorno dalla Corea del Sud, ha parlato anche
dei conflitti armati che straziano le popolazioni della Siria e dell’Iraq. A tal
proposito ha affermato che «in questi casi, dove c’è una aggressione ingiusta,
soltanto posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il
verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra: fermarlo.
I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare
l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo avere memoria, pure, eh? Quante
volte sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono
impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola
nazione non può giudicare come si ferma questo, come si ferma un aggressore
ingiusto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata l’idea delle Nazioni Unite:
là si deve discutere, dire: “È un aggressore ingiusto? Sembra di sì. Come lo
fermiamo?”».
Tra le varie opzioni che la dottrina
della Chiesa offre per fermare l’aggressore c’è anche quella dell’uso della forza,
vale a dire dell’intervento armato. Ma oggi ha ancora senso - e se sì in quali termini
- parlare di «guerra giusta»?
Come è noto, per «guerra giusta» si intende il diritto
attribuito agli Stati - moralmente non solo permesso ma necessario - di rispondere
alla violenza di cui fossero vittime.
Si tratta di un tema sul quale, nel corso
dei secoli, la Chiesa non ha cessato di interrogarsi. Già sant’Agostino metteva
in risalto che «fare la guerra per i malvagi
sia una felicità ma per i buoni una necessità». Una posizione che, in certo
senso, pareva definitivamente «superata» dalle parole di Giovanni XXIII nella Pacem
in terris: «Nell’era atomica è irrazionale
pensare che la guerra possa essere utilizzata come strumento di riparazione dei
diritti violati».
I Padri del Vaticano II, nella Gaudium
et Spes (79), dopo avere ricordato che «ogni atto di guerra è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con
fermezza deve essere condannato» concedono che «fintantoché esisterà il
pericolo della guerra […] una volta esaurite tutte le possibilità di un
pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una
legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità
della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli
che sono stati loro affidati […]. Coloro poi che al servizio della patria
esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino
anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se
rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla
stabilità della pace».
Il Catechismo della Chiesa cattolica (2309) considera come evenienza
possibile una«legittima difesa con la forza militare» sottoposta ovviamente ad
alcune condizioni. Che l’uso della forza sia l’extrema ratio; che il danno da cui difendersi deve essere durevole,
grave e certo; che ci sia speranza di successo; che la risposta difensiva non
deve provocare più danni di quelli che si vogliono evitare. Al n. 2310, il Catechismo afferma: «I pubblici poteri,
in questo caso [laddove siano presenti tutte le condizioni previste], hanno il
diritto e il dovere di imporre [sic]
ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale».
La soluzione, peraltro, non può essere
affidata nemmeno alla deterrenza, come si pensava negli anni della Guerra Fredda.
Sempre il Concilio ricorda che questa «non
è una via sicura per conservare la pace» visto che «le cause di guerre anziché venire eliminate»,
in tal modo «minacciano piuttosto di aggravarsi
… mentre si spendono enormi ricchezze per procurarsi sempre nuove armi».
Allo scoppio della prima guerra del Golfo, nel 1991, Giovanni Paolo II ribadiva
che «la guerra non può essere un mezzo
adeguato per risolvere completamente i problemi esistenti fra le nazioni: non lo
è mai stato e non lo sarà mai».
Problemi divenuti ancora più drammatici
all’alba del nuovo millennio, con l’attacco alle Torri Gemelle e le guerre in Iraq
ed in Afghanistan.
Se ne fece interprete, nel dicembre 2001,
il cardinale Carlo Maria Martini: «In questi
giorni di guerra ripenso al lungo, difficile cammino della coscienza cristiana durante
due millenni nel giudicare la guerra e gli armamenti. Prima delle armi nucleari
e chimiche il principio della legittima difesa poteva in certi casi condurre a parlare
di guerra giusta. La domanda ora è di tipo strettamente etico: ciò che si è fatto
e si sta facendo contro il terrorismo specialmente a livello bellico rimane nei
limiti della legittima difesa, o presenta la figura, almeno in alcuni casi, della
ritorsione, dell’eccesso di violenza, della vendetta? È chiaro che il diritto di
legittima difesa non si può negare a nessuno, neppure in nome di un principio evangelico.
Occorre tuttavia una continua vigilanza, un costante dominio su di sé e delle passioni
individuali e collettive per fa sì che nella necessaria azione di prevenzione e
di giustizia non si insinui la voluttà della rivalsa e la dismisura della vendetta».
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