4 AGOSTO
SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY - IL SANTO CURATO D'ARS
PATRONO DEI SACERDOTI
AUGURI A TUTTI I PRESBITERI,
A QUELLI
CHE INSEGNANO IN PARTICOLARE,
A QUELLI CHE INSEGNANO «RELIGIONE CATTOLICA»
IN
MODO SPECIALE.
«Vorrei ripercorrere
brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars sottolineandone alcuni tratti,
che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca,
certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi,
dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali.
Proprio ieri si sono
compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino
del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il
corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere
in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che
fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt
25,34). Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all’ingresso di un
così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine
dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e
confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l’Anno
Sacerdotale, che, com’è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote.
Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva,
l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.
Giovanni Maria Vianney
nacque nel piccolo borgo di Dardilly l’8 maggio del 1786, da una famiglia
contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato,
com’era buon uso all’epoca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni
della fanciullezza e dell’adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli
animali, tanto che, all’età di diciassette anni, era ancora analfabeta.
Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva
del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che, fin dalla
prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle
mansioni più umili. Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non
gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo
non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti,
che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare
oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane
veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13
agosto seguente, sacerdote. Finalmente all’età di 29 anni, dopo molte
incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del
Signore e realizzare il sogno della sua vita.
Il Santo Curato d’Ars
manifestò sempre un’altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: “Oh!
Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo si
comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!” (Abbé
Monnin, Esprit du Curé d’Ars, p.
113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: “Se fossi prete, vorrei
conquistare molte anime” (Abbé Monnin, Procès
de l’ordinaire, p. 1064). E così fu. Nel servizio pastorale, tanto semplice
quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto
villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio
ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente
riconoscibile, alter Christus,
immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le
proprie pecore (cfr Gv 10,11).
Sull’esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo
servizio sacerdotale. La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava
un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa,
sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel
confessionale.
Centro di tutta la sua
vita era dunque l’Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione e
rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura
sacerdotale era l’assiduo ministero delle confessioni. Riconosceva nella
pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento
dell’apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: “A chi
rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non
rimessi” (cfr Gv 20,23). San Giovanni
Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e
maestro spirituale. Passando “con un solo movimento interiore, dall’altare al
confessionale”, dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni
modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai
parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale,
mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr Lettera ai sacerdoti per l’Anno Sacerdotale).
I metodi pastorali di san
Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni
sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un
mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici
della persona, quindi irripetibili, c’è però uno stile di vita e un anelito di
fondo che tutti siamo chiamati a coltivare. A ben vedere, ciò che ha reso santo
il Curato d’Ars è stata la sua umile fedeltà alla missione a cui Iddio lo aveva
chiamato; è stato il suo costante abbandono, colmo di fiducia, nelle mani della
Provvidenza divina. Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza
delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole
impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie,
comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo.
Fu “innamorato” di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato
l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto,
che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le
persone che cercano Dio.
La sua testimonianza ci
ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più per
il sacerdote, l’Eucaristia “non è semplicemente un evento con due protagonisti,
un dialogo tra Dio e me. La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione
totale della propria vita. Con forza spalanca l’intero io dell’uomo e crea un
nuovo noi” (Joseph Ratzinger, La
Comunione nella Chiesa, p. 80).
Lungi allora dal ridurre
la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole,
della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere
la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di
altissima attualità. Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una
sorta di “dittatura del razionalismo” volta a cancellare la presenza stessa dei
sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della
giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per
partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una
singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo,
allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni
dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.
Cari fratelli e sorelle,
a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide della società odierna
non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora
c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si registra in molti
ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”. Entrambe appaiono risposte
inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione
come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo
fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la
sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il
relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad
affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del
campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l’uomo “mendicante di
significato e compimento” va alla continua ricerca di risposte esaustive alle
domande di fondo che non cessa di porsi.
Avevano ben presente
questa “sete di verità”, che arde nel cuore di ogni uomo, i Padri del Concilio
Ecumenico Vaticano II quando affermarono che spetta ai sacerdoti, “quali
educatori della fede”, formare “un’autentica comunità cristiana” capace di
aprire “a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo” e di esercitare “una
vera azione materna” nei loro confronti, indicando o agevolando a che non crede
“il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa”, e costituendo per chi già
crede “stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale” (cfr Presbyterorum ordinis, 6).
L’insegnamento che a
questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars é che, alla base
di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale
con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di
Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia
intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli
all’amore misericordioso del Signore. Solo così, di conseguenza, potrà
infondere entusiasmo e vitalità spirituale alle comunità che il Signore gli
affida.
Preghiamo perché, per
intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono alla sua Chiesa
di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e
coadiuvare il loro ministero.
Affidiamo questa
intenzione a Maria, che proprio oggi invochiamo come Madonna della Neve».
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE 5 AGOSTO
2009
PALAZZO APOSTOLICO DI
CASTEL GANDOLFO
Commenti
Posta un commento